Sarà a causa della mia passione per la luce, quella di Rembrandt, e i panneggi fiamminghi ma navigando nella rete la mia attenzione è stata catturata da una fotografia che rievocava proprio questi due elementi. Una bambina intenta a pelare patate, con lo sguardo perso nel vuoto, e tutt’intorno quell’atmosfera tipica di un quadro del seicento.
Ed ecco qui, ho trovato l’australiano Bill Gekas, la cui serie di ritratti della sua piccola figlioletta di 5 anni merita mille volte più di tanti altri glamourfotografi di cui avrei potuto parlarvi.
I suoi ritratti sono premiati nei più importanti festival internazionali. Categorie come “people” e “portrait” ospitano costantemente delle sue opere. Fotografa da anni ma la sua identità e il suo stile sono maturati solo da qualche anno, ovvero al suo passaggio dalla pellicola al digitale, che è avvenuto nel 2005. Fino a quel momento aveva scattato principalmente positivi e negativi in 35 mm.
“Il passaggio al digitale mi ha semplicemente aperto un nuovo mondo che mi ha veramente semplificato il progesso di lavoro alle mie fotografie. Finalmente avrei potuto creare le immagini che avevo in mente senza spendere troppo tempo dietro ai processi tradizionali”.
Il motivo del suo interesse verso il genere del ritratto lo spiega così: “Il ritratto è unico per l’ espressione che il soggetto ti regala e per il fatto che resta di fronte a te anche tempo dopo che hai visto l’immagine”.
E così ha iniziato una serie di Tableaux Vivants che hanno come protagonista la sua piccolissima e dolcissima bambina.
I ritratti di Bill raggiungono il livello in cui quando si guarda l’immagine non ci si limita ad osservarla ma la si può quasi avvertire. Questo è senza dubbio frutto del legame che unisce il soggetto al fotografo che l’osservatore può condividere.
Bill organizza meticolosamente il suo lavoro prima di effettuare lo scatto in sé. La preparazione del set, si sa, in questi casi costituisce la parte principale del lavoro, lo scatto, nel rispetto della sua essenzialità, resta quasi un momento marginale del lavoro. “La chiave per eseguire scatti del genere è di avere tutto ben pianificato e pronto prima che il soggetto entri sul set. Da qui allo scatto finale passano in media 8 ore di lavoro”.
Quello che mi ha colpito dei suoi scatti è l’uso impeccabile della luce, che lascia percepire un’ispirazione ai grandi maestri della pittura-con-la-luce. Penso a Vermeer, penso a Caravaggio e a Velazquez.
La luce è la chiave del suo lavoro, del resto lo ammette lo stesso Gekas: “Il mio equipaggiamento è costituito principalmente da flash, modificatori, riflettori e fonti di luce varia”.
Il suo stile è generalmente definito Fine Art, ma lo troverete privo di quel candore, di quell’high key usuale, e le espressioni tipiche dei soggetti della ritrattistica effettuata comunemente in questo genere.
Il suo lavoro è più emotivo, e questo lo rende più interessante.
Stefano Gizzi
A volte cerco di ricordare a quando possa risalire il primo fotogramma della mia esistenza, ma non sono mai riuscito a trovare un punto d’inizio. Perché da che ne ho memoria la fotografia ha sempre fatto parte di me.