Oggi è una data importante per la comunità internazionale ed è anche l’argomento con cui apriranno i giornali e telegiornali perché proprio il 27 gennaio del 1945 l’Armata Rossa entrava nei campi di concentramento di Auschwitz e liberava i prigionieri in esso costretti a vivere e lavorare.
Questo è un fatto che resta nella storia dell’umanità e ognuno di noi lo porta dietro, in silenzio, scritto sulla pelle, nel nostro dna, scolpito sul nostro curriculum invisibile, in modo tale da non dimenticarlo più. O così dovrebbe essere. Ricordo che quando andavo a scuola i miei insegnanti continuavano a ripetere che la storia è maestra di vita, ciò vuol dire che dovremmo imparare dalle sofferenze passate per non commettere altri orrori come questo ricordato oggi.
La ghettizzazione del popolo palestinese a cui la comunità internazionale, ad esclusione dell’Islanda, non vuole riconoscere uno stato è la conferma del nostro fallimento in questa vita terrena.
Milioni di bambini che vivono dietro il grande muro che li separa da Israele e dal resto del mondo attendono la loro giornata della memoria. E soprattutto la loro infanzia.
Il limite del nostro “occhio non vede cuore non duole” viene oltrepassato dall’arte, la quale molto spesso è il mezzo con cui è meglio parlare al mondo. Proprio come hanno deciso di fare, ormai da diverso tempo, alcuni street artist lungo il muro vergognoso che separa questi due popoli in lotta da sempre. Banksy, Faile, Paul Insect, Sam 3, Face2Face, Eric the Dog, Ron English, Blu, JetSet Graffiti, 3D, Abdul Rohman Elmzyen, Adam Koukoudakis, Aiko, Ayed Arafah, Bast, Ben Turnbull, Conor Harrington, Eine, Gee Vaucher, James Cauty, Jonathan Yeo, Karim Dabbah, Kelsey Brookes, Lucy McLauchlan, Mark Jenkins, Antony Micallef, Sir Peter Blake, Sickboy, Souleiman Mansour, Swoon, Yousef Katalo, Peter Kennard & Kat Phillips insieme hanno collaborato alla realizzazione di questo museo della street art a cielo aperto e oggi vi mostro alcune immagini di questi capolavori. Aprite gli occhi gente!
Buona domenica!
Zelda
Mi chiamano Zelda, come la principessa dei Nintendo, come Zelda Sayre Fitzgerald, come Beautiful Zelda della Bonzo Dog Doo-Dah Band. Sono alta quanto una mela della Val di Non, sono impertinente come i miei capelli e mi nutro di street art, quella roba di cui vi parlo la domenica quando avete il cervello quadrato e parlate di rigori e schedine. Non potrete fare a meno di me.