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Le città dei sogni di Jean-François Rauzier

Le città dei sogni di Jean-François Rauzier


È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure.

Italo Calvino

 

 

Nascono così, a partire dallo stesso principio che osserva Calvino, le immense immagini di cui vi parlo oggi.
Sono luoghi immaginari creati per rappresentare il proprio mondo interiore, per superare gli ostacoli, le paure.
E’ il mondo di J.F. Rauzier o se vogliamo, è il nostro mondo visto da lui.
Artista francese di fama internazionale, crea immagini spettacolari di dimensioni spropositate. Dal vero le sue opere misurano anche 40 metri, e sui nostri schermi del pc forse anche di più.
Scatta centinaia di foto, poi per settimane le assembla, le modella, le ritocca, le personalizza: edifica un nuovo mondo a partire da luoghi e strutture che esistono davvero.
Jean-François Rauzier eredita in un certo senso lo stile di quegli artisti degli anni ’30 che utilizzavano il collage e il montaggio per far vivere le loro immagini.
Ma di fronte alle sue opere sviluppiamo un gusto per la pittura, in particolare quella del Rinascimento, ma ancor più un profondo interesse per l’architettura: “Ho studiato utopie architettoniche e mi sono messo a costruire le mie città ideali. Ho un forte bisogno di sognare e creare un mio mondo, questo mi permette di superare gli ostacoli

E’ onirico e fantastico: metropoli, città, paesi, piazze, giardini, stanze, lo ispirano per creare nuovi luoghi da aggiungere al suo universo artificiale in un alternarsi di percorsi labirintici che creano l’effetto di un grande enigma visuale; questo è ciò che si prefigge l’artista: ” Vorrei che gli osservatori guardassero le mie fotografie come si assiste ad uno spettacolo”.
Meglio ancora, le sue fotogragie prendono la forma di scenari che lo spettatore è portato ad osservare da molto vicino così da giocare all’ investigatore, schiena curva e occhi socchiusi.
Amatore di cinema e di letteratura fantastica, grande lettore del maestro Allan Poe, Rauzier nasconde oggetti, animali e personaggi inaspettati nei suoi “tableaux” e ogni dettaglio possiede una precisione irreale.
Mette anche in scena le storie, i viaggi e le opere che hanno marcato il suo spirito; così ci apre le porte alla sua intimità.
Un uomo enigmatico, vestito di nero con un cappello, che sembra uscire dall’universo di Magritte, è un uomo perduto nell’infinità dello stesso spazio che crea da sé.

 


Ma nella vita e per il suo lavoro i luoghi reali sono indispenzabili  e tra quelli che lo hanno ispirato c’è anche l’Italia, in particolare Roma, di cui ci regala un’interpretazione – oserei dire una citazione Felliniana della “Dolce Vita” – con una colonia di pinguini immersa nella Fontana di Trevi, o anche la possente struttura del Colosseo attorniata da migliaia di leoni. Tutti quelli che un tempo lo hanno veramente abitato. Gli animali sono i protagonisti – accalcati – di “Animals” , il suo ultimo lavoro, e da come ce li presenta non possiamo che adorarli , del resto sono ciò che di negativo più ci caratterizza: la divisione sociale tra polli, leoni, scimmie, serpenti.

Senza mai affermarlo veramente l’artista evoca quella lunga tradizione del linguaggio figurativo – che dall’antichità conferisce agli uomini attributi di animali. In quest’ottica le immagini si rivelerebbero i racconti morali di una umanità in assenza di veri riferimentiOppure potremmo vedere queste calche come la rivolta ultima e senza speranze del regno animale contro la supremazia dell’essere umano, arrivando ad occupare i suoi luoghi di potere.
Ciò che si svolge nelle città di queste immagini sarebbe allora l’ultima marcia disperata, prima della sparizione, di un universo condannato.

Del resto si tratta o no di desideri e paure? Forse anche le loro.

 

 


Stefano Gizzi

A volte cerco di ricordare a quando possa risalire il primo fotogramma della mia esistenza, ma non sono mai riuscito a trovare un punto d’inizio. Perché da che ne ho memoria la fotografia ha sempre fatto parte di me.

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