Mi piace la birra perché farla è sostanzialmente cucinare. E normalmente non si beve qualcosa che si cucina, ma lo si mangia.
Mi piace la birra perché berla è sostanzialmente mangiarla. Anzi, mangiare qualcosa già mangiato da altri – i lieviti – quindi mangiare2. E il cerchio si chiude, che con le equazioni non è proprio che mi ci nutrissi a colazione al bar del Liceo.
Ma come si prepara sta roba? Avrete bisogno essenzialmente di acqua, cereali, luppolo e lievito. Dove lo si fa già lo sapete ovviamente, nella vasca da bagno o nel pentolone di Renzi la strega.
L’acqua è molto importante e potremmo stare ore a parlare di concentrazione di Sali minerali, livello di ph ottimale e quant’altro. Ma io non ho studiato chimica e voi non volete farvi due palle così. Basti solo dire che essa costituisce circa il 90% della birra e che tradizionalmente i vari stili birrai si sono caratterizzati in misura essenziale in base alle caratteristiche dell’acqua del luogo di produzione.
I cereali costituiscono gran parte del resto del pappone. Essi forniscono gli zuccheri necessari ad essere trasformati dal lievito in alcool rilasciando CO2 e impartiscono allo stesso tempo alla birra il colore, l’aroma e il sapore finale. Storicamente tra di essi è l’orzo (barley) ad essersi imposto come il maggiormente adottato in ambito brassicolo, quasi perfetto per composizione, resa e possibilità di gestione nel processo produttivo. Tradizionalmente usato in alcuni stili in percentuali notevoli è inoltre il frumento (wheat), che nelle Weizen tedesche arriva ad essere impiegato in percentuali superiori al 50%. Alternativamente adoperati in composizioni minori sono, inoltre, altri cereali: l’avena (oats) impartisce un certo grado di setosità e morbidezza alla birra e contribuisce alla ritenzione della schiuma; essa trova un impiego caratterizzante nelle Oatmeal Stout e la Samuel Smith Oatmeal Stout ne è l’esempio eclatante.
La segale (rye), tradizionalmente impiegata sino al 60% nelle Roggenbier, è recentemente divenuta di moda in percentuali anche rilevanti in alcune IPA estreme di influenza statunitense, grazie al sapore caratterizzante normalmente definito quasi “speziato” – provare per credere la RYE’eccomi nata dalla collaborazione del Birrificio Amiata e l’americano Mike Murphy e la Mezzasegale, incontro tra i Birrifici Montegioco e Bi-Du. Il farro (dinkel/spelt) da ultimo, con il suo caratteristico sapore e aroma “integrale”, ha trovato un discreto impiego in Italia in diverse Saison come nella Duchessa di Birra del Borgo e nella Petrognola.
Chiariamo subito una cosa, il malto non esiste. O meglio, né cresce nei campi, né sugli alberi, né in qualche paese esotico. Sono i cereali di cui abbiamo parlato a subire, di norma, uno specifico processo ad hoc di maltazione: ogni singolo chicco viene posto a bagno, fatto germinare al punto giusto, successivamente essiccato e “cotto” a determinate temperature e per un tempo differente a seconda del sapore e aroma voluto. Tuttavia, Cereali non maltati possono essere usati in composizioni consistenti accanto ai primi, come accade ad esempio nelle Blanche o Wit, in cui il frumento, a differenza delle Weizen, pur adoperato in percentuali superiori al 40%, non è di norma maltato.
Giungiamo così al luppolo, fantastica pianta rampicante scoperta da suor Hildegard Von Bingen intorno al 1200, appartenente alla famiglia delle Cannabinacee. Pur donando un considerevole grado di assuefazione nei patiti delle birre amare devo ahimè informarvi che non conferisce gli effetti da capogiro della più sensuale sorella.
Il luppolo, adoperato di norma in fase di bollitura, conferisce sia l’amaro che l’aroma alla birra finita. Ne esistono centinaia di tipologie differenti a seconda del luogo di coltivazione e particolarmente in voga oggigiorno sono le varietà americane e neozelandesi, capaci di conferire alla birra incredibili aromi speziati, citrici e fruttati che si spingono sino a sentori di uva bianca.
Il lievito è l’ultimo ingrediente della spesa di oggi, oltre che il più affascinante. Il birraio infatti, una volta preparato il mosto si ferma, si inginocchia e prega che questi fantastici animaletti facciano il loro compito, ovvero “mangiare” tutti gli zuccheri estratti dai cereali e trasformarli – finalmente direte voi – in alcool.
Secondariamente, ma nient’affatto marginalmente, il lievito produce durante la fermentazione moltissime sostanze, tra cui esteri e alcoli superiori, capaci di arricchire incredibilmente il bouquet aromatico della birra e caratterizzarne in molti casi le percezioni. Attenzione, il famoso lievito di birra non viene adoperato per la produzione di quest’ultima. Al contrario, moltissimi ceppi di lievito sono stati selezionati nei secoli per l’uso birraio e ognuno di essi, se inoculato allo stesso tipo di mosto, darà vita ad una birra più o meno differente dall’altra.
Mi piace la birra perché, alla fine della fiera, pur producendola, non la fai.
Umberto Calabria
Umberto (JJ) Calabria - Jungle Juice Brewing, autistico della birra e ancora "homebrewer" della domenica. "Liutaio" del sabato pomeriggio se ci scappa. Laureato e lavoratore per errore il resto della settimana. Curioso come una scimmia, sempre.
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