Nel 1933 Jerry Siegel e Joe Shuster sono due giovani fumettisti non ancora ventenni di Cleveland, nell’Ohio. Entrambi sono nati sul suolo americano da genitori immigrati, di religione ebraica. Sono appassionati di cinema e divoratori di science fiction, negli anni della Grande Depressione. Il padre di Jerry, lo sceneggiatore tra i due, è morto l’anno prima, colpito da un attacco cardiaco conseguenza di una rapina nella sua merceria. E Jerry, per il suo nuovo soggetto, decide di partire da un pianeta lontano, un vecchio pianeta popolato da individui tali e quali a noi. Che esplode.
E’ la fine cruenta di una civiltà, dalla quale trova scampo solo un bambino, messo in salvo da un razzo d’emergenza, costruito dal padre scienziato. Il bambino arriva sul nostro pianeta e, grazie alla sua fisiologia avanzata, scopre di essere più forte, veloce e resistente del normale, in grado, tra l’altro, di compiere balzi enormi da un palazzo all’altro. I proiettili gli rimbalzano addosso, le lame non fanno una fine migliore. Viene da un altro pianeta ma è cresciuto sul nostro mondo, che quindi è l’unico che conosce, con tutte le sue controversie: corruzione, miseria, violenza.
Ora, immaginate se al posto di quello straniero ci fosse stato l’uomo medio che guida nel traffico di Roma: avremmo passato tutti un pessimo quarto d’ora. Insomma, poteva andarci peggio.
Torniamo allo straniero: a quanto pare ha avuto un’educazione da working class, al punto che la sua prima preoccupazione è diventare (cito) un “campione degli oppressi” che “ha giurato di dedicare la sua esistenza ad aiutare tutti coloro che sono in difficoltà”. Wow. Beh, grazie.
E non è tutto. Per poter accorrere dove c’è bisogno quando c’è bisogno, il nostro alieno decide di fare il giornalista, per poter essere sempre informato su quanto accade nel mondo (l’età dorata dell’informazione. Buona fortuna oggi, ragazzone). E, a dirla tutta, non è neanche il tipo che lo fa per rimorchiare: sul lavoro indossa gli occhiali, è goffo, impacciato, educato ma poco affidabile. La prima volta che porta fuori la ragazza dei suoi sogni dà una rara dimostrazione di mancanza di fegato. Eppure, sempre nella sua prima apparizione, nel giro di neanche 20 pagine salva una donna innocente dalla sedia elettrica, salva un’altra donna da un marito violento, svuota come una lattina una macchina piena di bulli, terrorizza un senatore corrotto e il suo losco corruttore.
Tra una cosa e un’altra, Jerry Siegel e Joe Shuster ci metteranno cinque anni a pubblicare la loro prima storia con la versione definitiva del personaggio. Ma da allora, da Action Comics n.1, niente sarà più lo stesso nel mondo del fumetto, e della cultura popolare.
Il nome dello straniero, il nome che gli è stato dato da terrestre, è Clark Kent. E Clark Kent è Superman. Ma non è una questione di carta d’identità. Negli anni, come vedremo più avanti, le origini, le capacità e i personaggi che ruotano intorno a Superman sono cambiati numerose volte, adattandosi ai tempi che cambiavano con loro, ma la sostanza è rimasta sempre la stessa.
Siamo tutti convinti di essere gli unici della nostra specie, gli unici sopravvissuti di un pianeta perduto. Abbiamo la sensazione tangibile che il mondo in cui viviamo non sia in grado di comprenderci a fondo. Siamo convinti di essere soli.
Clark Kent siamo noi, quando le circostanze, nella vita di tutti i giorni, ci impediscono di dimostrare quanto saremmo in grado di fare, quando il nostro rifiuto nei confronti dell’aggressività viene scambiato per debolezza. Clark Kent siamo noi quando il mondo non ci ritiene all’altezza.
E Superman siamo noi, quando gli altri diventano più importanti di noi. Ed è quell’amore incondizionato e disinteressato che dimostriamo per gli altri a definirci, e a renderci più forti di una locomotiva, più veloci di un proiettile, e capaci di saltare grattacieli con un solo balzo.
Simone Vacatello
Simone Vacatello, 28 anni, laurea magistrale in Lettere moderne. Umanista e randagio della comunicazione, non è qui per farvi apprezzare l'invasione di fumetti e super eroi, ma per aiutarvi a farvene una ragione
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