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Tuesday Poison: breve manuale sull’antropologia del tatuaggio


Il mondo si divide in chi ce l’ha e chi lo vorrebbe avere: voi a quale categoria appartenete?
In molti casi si tratta di puro esibizionismo, un modo per catturare lo sguardo altrui. Altre volte lo si fa per ricordare un momento, una persona che ha lasciato il segno. Un antropologo (magari un certo Claude Lévi-Strauss) ci spiegherebbe la loro evoluzione, come la loro storia sia complessa e affondi le radici in epoche molto lontane e come ancora oggi sia un segno distintivo per molte tribù. Ma io non sono un’antropologa, anche se vorrei, e mi affido alle immagini e all’arte.
Signore e signori commensali oggi siamo qui riuniti per parlare di tatuaggi.
Vi ricordate quando nel primo articolo della nostra rubrica del martedì vi ho accennato all’influenza dei tatuaggi nella cultura lowbrow, quando, subito dopo la seconda guerra mondiale iniziarono ad imperversare sui bicipiti dei reduci e dei motociclisti devoti alle fiammanti Harley Davidson? Ci siamo, è esattamente in questo periodo che si viene a caratterizzare quella che i cultori del tatuaggio chiamano old school, ovvero un universo di personaggi e teschi realizzato senza troppe sfumature.
Ed eccole proprio loro apparire belle e prorompenti, sirene e pin up, madonnine dal volto fanciullesco ma tanto seducente che fa dimenticare lo sguardo severo e squadrato delle bellezze femminili di qualche decennio precedente.
Sono proprio loro le pin up in particolare a colorare la pelle di surfers americani e imitatori europei che entrano nei negozi di tatuaggi con riviste sottobraccio per farsi marchiare con ago e colore.
Successivamente sono stati introdotti nuovi personaggi e oggetti del desiderio epidermico ma l’idea di fondo resta sempre quella: ovvero farsi colorare la pelle, creare un tratto distintivo. Poi anche la parte del corpo da tatuare diventa un dilemma, si è sempre in bilico tra quella visibile agli altri e quella invisibile a se stessi.
Il tatuaggio racconta chi siamo, cosa c’è sotto la superficie, quasi mai rinuncia alla creatività di chi lo realizza, perché il tatuaggio è in effetti una vera e propria arte. Vedere alla voce Mike Giant, il tatuatore, illustratore e writer di San Francisco tanto per capire meglio.
Proprio i tatuatori o tatuaggisti, a voi la scelta di chiamarli come meglio credete, sono poi diventati illustratori o street artist negli anni successivi, alimentando le scene della cultura pop surrealista e lowbrow anche su riviste specializzate come Juxtapoz che proprio ieri ha presentato ai suoi lettori una giovane artista londinese, Valerie Vergas, la quale usa tutto il suo talento per creare fantastiche creature in un sottoscala londinese.
Siete pronti per farci vedere il vostro?


Eva Di Tullio

Io sono Eva e con Tuesday Poison ogni martedì, vi racconterò la storia dell’arte pop surrealista e lowbrow: accomodatevi pure!

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