Alex Prager, un nome pseudomaschile per identificare una donna, ma soprattutto il suo mondo tutto al femminile.
Californiana e autodidatta, nasce nel ’79, a Los Angeles, e si sta affermando da qualche anno come una delle migliori rivelazioni dell’arte contemporanea americana. Le sue immagini raccontano di donne, delle loro possibili sofferenze e dei loro sentimenti, rivelati attraverso lo stereotipo di un’epoca, quella degli anni sessanta. Il suo lavoro è caratterizzato da un’estetica estremamente ricercata, a cui si mescola la dimensione culturale pop d’oltreoceano che tutti conosciamo. Questa giovane fotografa e regista crea il suo personale, intenso mondo onirico, coltivandolo in un terreno psichico al limite dell’inquietudine.
“Inquietudine” è la parola chiave per interpretare lo stile di questa artista, insieme a “cinematografico”; esse rappresentano i due principali elementi d’ispirazione per il suo lavoro. Si tratta delle atmosfere conturbanti di Hitchcok; di un’ambientazione coloristica proveniente da Fellini, che come dice lei stessa influenza la sua visione sulla saturazione del colore e sulla luce; ma anche di una dimensione melodrammatica tipica di Douglas Sirk, il re del melò americano.
Così, in alcune fotografie Alex raccoglie tutte le tensioni del melodramma cinematografico, facendo apparire le sue immagini come dei veri e propri fotogrammi di una pellicola. Sembra quasi di vedere delle foto di un film che ti invogliano a guardarlo per intero. In questo modo lo spettatore si trova ad immaginare che la scena rappresentata sia parte di una storia, o che qualcosa debba accadere, finendo per ideare un film personale.
Continuando ad osservare le sue fotografie si nota come esse non siano influenzate solo dall’ambiente cinematografico, come nelle inquadrature, ma tra i contrasti del suo cromatismo e nell’uso del flash si può rintracciare l’influenza della grande Cindy Sherman, e esaminando anche l’ambientazione cogliamo certamente il nome di William Eggleston; ma allo stesso modo c’è qualcosa di nuovo e inedito nelle foto di Alex che le permette di offrire uno spettacolo del tutto personale. Forse è quel qualcosa che sembra agitarsi sotto la superficie delle sue immagini, sotto la pelle truccata di quelle donne che appaiono serene e sorridenti ma che forse nascondono un profondo turbamento. “Mi piacciono le cose quando nascondono qualcosa, quando non sono perfette, ma non voglio semplicemente creare qualcosa di inquietante, voglio che le immagini siano belle per chi le guarda”.
In un approccio sottile e mai ovvio, ciò che Alex cerca di ottenere è quindi un insieme di bellezza e inquietudine, trasformando immagini ordinarie in qualcosa di straordinario in cui tutto ha un’apparenza vagamente artificiale, un mondo dove tutto è reale e irreale allo stesso tempo. Un po’ come il nostro, solo impercettibilmente diverso.
Stefano Gizzi
A volte cerco di ricordare a quando possa risalire il primo fotogramma della mia esistenza, ma non sono mai riuscito a trovare un punto d’inizio. Perché da che ne ho memoria la fotografia ha sempre fatto parte di me.
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