A volte mi capita di pensare a cosa ricorderò quando avrò cinquant’anni, a cosa mi porterò dietro, a cosa penserò di questi miei vent’anni; mi chiedo se certe cose continueranno ancora a sembrarmi così importanti, se quegli occhi sarò riuscita a dimenticarli, se chi c’è adesso anche in quei giorni continuerà ad esserci, se ne valeva poi davvero tutta questa pena.
Sì, ci sono momenti in cui vorrei proprio possedere una bacchetta magica e far volare il tempo più velocemente di come già fa e scoprire cosa sarò, con chi sarò, di che colore saranno i miei capelli, come sarò cambiata, ma soprattutto cosa ricorderò.
Come quei film in cui il protagonista, ormai anziano e con i capelli bianchi, sfoglia un vecchio album fotografico, recupera, ad uno ad uno, tutti gli istanti che l’hanno reso l’uomo che è, tutti i volti delle persone che ha amato e, con quella nostalgia che accompagna tutto le cose care ma perdute, racconta ai nipoti quel favoloso spettacolo che è stata la sua gioventù.
Ecco, io non lo so cosa sarà immortalato nelle mie fotografiae, cosa il tempo sceglierà di conservare e cosa no, non lo so cosa racconterò ai miei figli o a miei nipoti, ma so bene cosa mi piacerebbe custodire, perchè ci sono persone e frasi e gesti che io non vorrei mai dover dimenticare, che vorrei stamparmi negli occhi per poterle sempre vedere, sempre avere davanti, anche se non ci sono o non ci saranno più.
E così a me piacerebbe ricordare delle scale e tutte le confidenze che le hanno accompagnate, le risate e il tramonto d’estate.
Mi piacerebbe ricordare i viaggi al liceo, quando la notte si tirava fino all’alba e poi la mattina tutti sul pullman con la musica nelle orecchie, gli occhiali da sole e i cerchi alla testa.
Mi piacerebbe ricordare un’amicizia lunga undici anni, quello stesso banco, quella stessa strada, il gelato al caffè e tutto quello che due persone possono condividere giorno dopo giorno, sempre insieme.
E le ore al telefono, i messaggi che non mi aspettavo, le parole che non avrei voluto dire, le cose che ho fatto e che forse era meglio evitare.
Le colazioni allo Zio, le interrogazioni di greco da cui sembrava dipendere tutta la nostra esistenza, i cinque in matematica, gli intervalli che duravano sempre troppo poco.
Il sabato pomeriggio in centro, aver scoperto che esistono certi libri, aver costruito qualcosa che ancora oggi sa rimanere.
Ma soprattutto mi piacerebbe ricordare tutte le mie “prime volte”: il mio primo viaggio da sola a Budapes, la prima vacanza con gli amici, la mia prima sbronza, il mio primo bacio, la mia prima bugia, la prima volta che mi sono sentita davvero felice, la prima volta che credevo di morire, la prima canzone di De Andrè che ho ascoltato, il mio primo concerto; la prima volta che ho fatto l’amore con qualcuno che amavo davvero, la prima volta che ho ferito o che mi sono sentita ferita, la prima volta che ho capito che la vita spesso è proprio una fregatura, la prima volta che ho dovuto lasciare andare via qualcuno, che ho perdonato, che ho sperato.
La prima volta.
Tutte le prime volte della mia vita.
Perchè le cose tornano, si ripetono, i treni passano anche due, tre, quattro volte, ma quello che si prova quando si sale a bordo per la prima volta non si può dire, non si riesce a dire: c’è un’eccitazione, un’emozione, una cosa tipo farfalle nello stomaco che poi non si ritrova più, non c’è niente da fare, non si ritrova più.
Sì, credo che ricorderò questo.
Alice Innocenti
Alice Innocenti, ventun anni, amante delle parole. Di ogni tipo di parola. "Nella vita vera non posso cancellare, tornare indietro, ripensare a quello che ho detto, correggerlo. Allora scrivo. Per prendermi la rivincita sulle parole. Per raccontare come sarebbe andata se avessi scelto quelle giuste".
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